Il 29 novembre è stato presentato, tra mille polemiche, il percorso del Giro d’Italia. La Grande Partenza da Israele è stata molto contestata, ma solo la valanga di soldi del paese di Netanyahu ha occupato i pensieri di Vegni. Questi hanno anche “aiutato” Chris Froome a prendere una decisione che oscilla tra il coraggioso e il folle: provare la doppietta Giro-Tour nell’anno della possibile 5° Grande Boucle. Ma passo ad analizzare il tracciato.
La Corsa Rosa si è venduta l’anima e non solo per il milionario stazionamento in Israele (personalmente non ho niente contro le Grandi Partenze dall’estero, quando però queste hanno un senso), ma perché il percorso è veramente ridicolo. Molti dicono che è stato disegnato per attirare Chris Froome e non impaurirlo in vista della difficilissima doppietta, ma in questo caso il Giro sarebbe tornato a commettere gli errori degli anni ’80, quando Torriani si divertì ad affossare il prestigio della corsa per far vincere i due beniamini locali Moser e Saronni. Di fatto a questo tracciato manca terribilmente la media montagna che ultimamente l’ha fatto tanto apprezzare ai tifosi, le tappe da imboscate (ce n’è soltanto una) ed un vero e proprio tappone degno di questo nome. Si è detto che è piuttosto equilibrato tra scalatori e cronoman e in effetti si può essere d’accordo, ma soltanto perché c’è poca lotta contro il tempo e poca vera montagna, non di certo per abbondanza dei due fattori. Un esperto di percorsi (Eugenio Gonzáles aka @Visko_) per descrivere il percorso del Giro 2014 (che presenta molte similitudine con questo data l’elevata presenza di arrivi in salita) usò la frase “una Vuelta con steroidi”, più che valida anche quest’anno.

Si partirà, come risaputo, da Gerusalemme Ovest (sì, Ovest) con un prologo di 9,7 km piuttosto tortuso, con curve e soprattutto qualche sali-scendi – mappa interattiva. Le due tappe successive (Haifa – Tel Aviv e Be’er-Shiva – Eilat) sono totalmente pianeggianti e quindi adatte agli sprinter. La prima passerà molto tempo vicino alla costa, ma quella più pericolosa per la possibilità di ventagli dovrebbe essere la seconda, che attraversa il deserto del Negev, dove perlomeno si dovrebbe assistere a paesaggi interessanti.
Al ritorno in Italia, dopo il primo dei tre giorni di riposo, il gruppo sbarcherà in Sicilia, terra che si sta avvicinando sempre più al ciclismo seguendo Nibali. La tre giorni sicula è piuttosto interessante, con due tappe vallonate e il classico arrivo in cima all’Etna. La prima è probabilmente la più facile delle tre nonostante abbia un buon dislivello complessivo. Infatti questa prevede un terreno tortuoso durante tutta la giornata, senza però difficoltà di una certa entità. Il finale (mappa interattiva) ricorda molto quello di Fiuggi (usato nel 2011 e nel 2015), quindi dovrebbe concludersi con una volata di un gruppo “ristretto”.
La seconda frazione risulterà quasi sicuramente più impegnativa, nonostante 1000 metri di dislivello in meno. Infatti questi sono tutti concentrati nel finale, leggermente più duro del giorno precedente – mappa interattiva. Inoltre l’erta che porta al traguardo stavolta sarà più impegnativa, riducendo il numero di corridori in gruppo. È un peccato però che gli organizzatori non abbiano sfruttato le possibilità della zona per disegnare un vero percorso di media montagna – mappa interattiva alternativa.
Per concludere il soggiorno siciliano il gruppo dovrà scalare l’Etna per il secondo anno consecutivo, ma lo farà da un versante diverso: già nella passata edizione cambiarono rispetto al 2011, questa volta sposteranno anche il traguardo dal Rifugio Sapienza all’Osservatorio Astrofisico, cercando di evitare il vento contrario che ha condizionato oltremodo la frazione del 2017 – mappa con i tre versanti.
Come detto, la salita sarà molto diversa rispetto a quella della passata edizione: più semplice, con strada decisamente più stretta (più da montagna) e più coperta dal vento. Nel profilo ufficiale mancano più di 9 km (all’inizio), infatti in realtà l’ascesa misura circa 23,6 km al 6,4%. Un colosso. Da notare quei 4 km all’8% verso la fine, lì probabilmente ci saranno gli attacchi più importanti.
Sbarcati nella penisola, il gruppo dovrà affrontare un tappa pianeggiante, con solo una salitella di 3,8 km al 4,1% a 15 km dal traguardo, una specie di Poggio che non dovrebbe fare alcuna selezione. Gli ultimi 8 km sono gli stessi della 4° tappa del 2016, quindi il finale sarà corso a velocità vertiginose. Questa però è di nuovo una grande occasione persa per disegnare un percorso di media montagna, che tanto manca a questo Giro, seguendo lo schema di due anni prima, con il Praiaberg nel finale – esempio di alternativa. In questo caso andrebbe ovviamente cambiata la frazione seguente, magari arrivando ad Avellino per uno sprint.
Dopo solo due giorni si torna ad arrivare in quota, nella tante volte ripetuta e mai decisiva Montevergine di Mercogliano. 17,1 km al 5% totalmente inutili, in cui una ventina di corridori è solita giocarsi la vittoria di tappa. L’ultima volta fu affrontata nel 2011, con Bart de Clercq che anticipò il gruppo, guidato dal compianto Michele Scarponi (profilo – video del 2007). Come detto, sarebbe stato meglio indurire quella precedente e rendere questa pianeggiante.
E per concludere la prima settimana? Ovviamente un nuovo arrivo in salita praticamente secco. Il terzo monosalita in nove giorni. Incommentabile. La tappa è molto lunga, la seconda consecutiva sopra ai 200 km, e presenta un dislivello precedente sufficiente per poter sperare che i corridori arrivino “segnati” all’erta finale, che si può dire divisa in tre gradoni.
La prima parte, che si conclude sul GPM di Calascio (13,5 km al 6%), servirà soltato a scremare il gruppo, nella seconda (10 km al 4%) ci sarà probabilmente un rilassamento del plotone e magari qualche attacco delle seconde linee, volto ad anticipare gli ultimi 7 chilometri decisivi a cui si giungerà dopo quasi 10 km nel altopiano nel Gransasso. Il finale è lo stesso del 1999 quando vinse Pantani (profilo – video) e anche del Giro U23 dello scorso anno (profilo – dettaglio del finale – video). Non è semplice aprire distacchi importanti visto che solamente gli ultimi 4,5 km sono arcigni, con una pendenza media dell’8,2%.

Dopo il giorno di riposo il gruppo affronterà una tappa molto pericolosa: la più lunga della corsa (239 km) con un salitone in partenza (che passa davanti all’Hotel Rigopiano in ricordo della tragedia del 18 Gennaio 2017) e terreno molto scomodo a seguire. Nel caso di una giornata di stop difficile qualcuno potrebbe pagare dazio, come ad esempio succede spesso a Van Garderen o come accadde a Landa nel 2016. La frazione si presta anche ad una fuga bidone in stile L’Aquila 2010 (profilo – video), quindi non va sottovalutata.
Anche nella tappa seguente si ricorda una persona scomparsa, questa volta Michele Scarponi. A 29 km dal traguardo infatti si passerà a Filottrano, la città del ciclista investito da un automobilista lo scorso 22 aprile. A livello sportivo il percorso non è male, ma ci si poteva e doveva aspettare di più dalla tappa marchigiana.

Senza cambiare arrivo e partenza e aggiungendo 24 km infatti si sarebbe potuto disegnare un finale ben più interessante, con una fantastica sequenza di muri – mappa interattiva. Comunque nell’originale ci sono almeno tre asperità, l’ultima che si conclude poco prima della linea d’arrivo, speriamo che i corridori siano più coraggiosi degli organizzatori.
Quella di Imola è la classica frazione di trasferimento per avvicinarsi alle Alpi. Lo sprint di gruppo non dovrebbe essere evitato dal passaggio nel circuito di Tre Monti, che ospitò il Mondiale nel 1968. Precedentemente infatti non ci saranno asperità di alcun genere: il gruppo costeggerà l’Adriatico fino a svoltare verso il celeberrimo Rubicone per poi attraversare Cesena, Forlì, Faenza e infine Imola.
Il giorno successivo si ripete praticamente lo stesso schema, con tanta pianura prima di giungere sul traguardo per poi affrontare un circuito molto deludente sul Montello: quelli di RCS non sono soltanto riusciti a scegliere le salite più facili dell’intera zona, ma hanno anche deciso di allontanarle dal traguardo – mappa interattiva del finale. Come se un po’ di media montagna facesse male a questo percorso.

Si poteva facilmente fare di meglio, anche senza esagerare, ad esempio sfruttando la salita dei Mondiali del 1985: mappe finale alternativo – profilo. Inoltre alcuni dei versanti del Montello sono sterrati (mappa di tutteleprese.it), quindi avrebbero potuto renderla ancora più interessante e dura: mappa finale alternativo 2 (possibile anche senza sterrati) – profili salite: Presa 19, Presa 17, Presa 12, Presa 2.
Nella 14° tappa tornerà, dopo ben 4 anni di assenza, il Monte Zoncolan. La salita, scalata per la prima volta nel 2003 (dal più semplice versante di Sutrio) e affrontata per la prima volta da Ovaro nel 2007 (profilo – video), timbrerà la sua sesta presenza nelle ultime sedici edizioni della Corsa Rosa. Non sono un grande fan di questa asperità (pendenze troppo arcigne per vedere spettacolo, altra cosa sarebbe se venisse affrontata “di passaggio”), ma un arrivo duro per permettere al più forte di fare la differenza ci vuole. E poi lo spettacolo di pubblico che è solito ritrovarsi in cima è sempre un bel vedere.

A precederlo ci saranno 4 GPM, ma, a meno di condizioni meteo difficili che renderebbero le discese insidiose, tutti dovrebbero aspettare il colosso finale. Gli ultimi chilometri, con la sequenza Duron-Valcalda-Zoncolan, sono gli stessi del Giro 2010 (profilo – video – risultati), anno in cui il Gigante di Ovaro fece i distacchi maggiori.
Quella di Sappada probabilmente è la frazione meglio disegnata dell’intera Corsa Rosa. In assenza del tappone dolomitico e di un arrivo in discesa, questo è il tracciato più interessante per gli attaccanti: la sequenza finale in durezza decrescente invita a provarci da lontano, la posizione giusto prima del giorno di riposo e dopo l’arrivo in salita più duro è perfetta. Inoltre in partenza i corridori dovranno affrontare le asperità di Sella Corso e il Passo della Mauria, quindi la lotta per la fuga potrebbe essere molto movimentata.

Dopo la scalata al Passo Tre Croci si arriverà nella zona più interessante della tappa, con Passo di Sant’Antonio e Costalissoio (che ha preso il posto della terribile Forcella Zovo inizialmente ipotizzata) in rapida sequenza. Dopo la ripida discesa di quest’ultimo si arriverà a Sappada tramite una “salitella”, dal lato opposto da cui si giunse nel celeberrimo tradimento del 1987, con la coppia Carrera Roche e Visentini protagonista (profilo – video).
Dopo il terzo ed ultimo giorno di riposo si affronterà la crono di Rovereto, unica “lunga” del percorso. 34,5 km non sono sicuramente sufficienti in un GT normale, ma in questo probabilmente equilibrano decentemente la montagna. Il percorso è quasi interamente pianeggiante, eccezion fatta per il passaggio a Nogaredo, che comunque non è duro. Tappa perfetta per gli specialisti delle prove contro il tempo.
La 17° è una tappa di trasferimento, anche se la prima metà accidentata potrebbe favorire una fuga. La prima asperità di giornata, Molina di Ledro, fu teatro del finale della 2° frazione del Giro del Trentino 2012 (profilo – video), con il già citato Scarponi che chiuse al 2° posto dietro all’inimitabile Voeckler, ipotecando la vittoria nella generale. Non lo dimenticheremo mai. Con l’arrivo in salita a Prato Nevoso inizia il trittico piemontese finale. Di questo traguardo in quota monosalita non si sentiva veramente il bisogno, visto il già elevato numero, avrebbero potuto farne a meno mettendo uno sprint e indurendo le precedenti (come ad esempio quella di Nervesa). Inoltre l’ascesa finale non è un granché, non sarà semplice aprire gap importanti. L’ultima volta fu usato nel Tour 2008 (profilo – video), mentre per la Corsa Rosa bisogna tornare al 2000 (profilo – video).
Il giorno seguente si tornerà a scalare il mitico Finestre, questa volta scollinando a 71 km dal traguardo, forse troppo lontano. Fin dal 2005 (profilo – video), anno in cui esordì, è stato sempre affrontato in vista di un arrivo sul Sestriere, posizionato quindi a circa 28 km dalla linea d’arrivo. Non c’è però solo l’enorme distanza a condizionarlo, ma anche il falsopiano (di circa 15 km) verso Bardonecchia che potrebbe uccidere i tentativi da lontano. La giornata inizierà con il Colle del Lys dal suo lato semplice, che dovrebbe essere teatro della lotta per la fuga, più che fondamentale per gli uomini di classifica che vorranno attaccare.
La classica coppia Finestre-Sestriere potrebbe convertire la tappa in uno spettacolo unico o assistere all’attendismo più totale del gruppo: infatti, in caso di movimenti sulle rampe della terribile ascesa piemontese, potremmo ammirare ad una delle più belle corse dell’epoca recente, però le possibilità non sono molte. Oltre ai fattori già nominati, a sfavorire gli attaccanti c’è anche la posizione della tappa: questa è posta infatti giusto prima della frazione più impegnativa della corsa, motivo che potrebbe invitare ad attendere. Per quanto riguarda possibili alternative, avrebbero potuto inserire il Moncenisio tra Lys e Finestre, indurendola e quindi favorendo le offensive – mappa interattiva. Inoltre sarebbe forse stato più interessante invertire l’ordine delle due giornate finali: Cervinia a precedere lo Jafferau.
A Cervinia andrà in scena l’ultima battaglia tra i grandi protagonisti del Giro 2018. Difficile disegnare una tappa migliore in questa zona, nulla da eccepire a livello di percorso, ma probabilmente sarebbe stato meglio concludere diversamente perché questa rischia di condizionare lo svolgimento delle frazioni precedenti. Si comincia con 130 km totalmente pianeggianti per poi giungere alla parte decisiva.
In rapida sequenza Tsecore, Saint Pantaléon e Cervinia, con il primo che presenta le rampe più dure, soprattutto nei chilometri finali, con una zona veramente impegnativa e perfetta per attacchi da lontano. La coppia finale è stata già usata in due occasioni: nel 1997 quando Gotti attaccò Tonkov e si prese la definitiva maglia rosa (profilo – video) e, più recentemente, nel 2015 (profilo – video).

Come detto in precedenza, cambiando l’ordine delle tappe di Jafferau e Cervinia si avrebbero più possibilità di attacchi. Si potrebbero inoltre invertire anche le partenze, rendendo l’ultima più corta e magari aggiungendo il Moncenisio per arrivare al Finestre con più selezione. Il trasferimento da Cervinia a Susa sarebbe lungo, ma visto che la frazione seguente sarebbe molto breve, non ci sarebbero dovuti essere problemi logistici.
Si concluderà con un circuito cittadino tra i monumenti della Città eterna – mappa interattiva. Il Giro, a differenza del Tour, varia spesso la località finale e secondo me è un’ottima soluzione, perfetta per far vedere le bellezze della Penisola. Altimetricamente semplice, il percorso prevede però molte curve e diversi passaggi sui ciottoli (comunemente chiamati sanpietrini), previsti anche sul rettilineo d’arrivo, posto davanti ai Fori imperiali, con il Colosseo sullo sfondo. Una cornice eccezionale per incoronare il vinciro del Giro d’Italia 2018. A seguire una mappa con le strutture più belle ed importanti che saranno avvicinate dalla corsa.

Ricapitolando: il percorso poteva essere disegnato infinitamente meglio senza tanti sforzi, non arriva alla sufficienza e si è venduto l’anima. Sì, non ci sono andato piano, ma il tracciato della Corsa Rosa è quello che non delude quasi mai, per questo non si può essere buoni quando vengono presentate “cose” del genere.
Raffaele Filippetti (@raffilpt)
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